Chiuderò gli occhi per vedere la verita’
Respirerò piano per assaporare anche l’aria
Camminerò in silenzio perché voglio ballare
E aprirò tutte le porte perché la mia vita veda il mondo
Correrò veloce, perché sono una lepre
Sibilerò sinuoso, perché sono un serpente
Scalerò alberi, perché sono curioso
Oppure salterò molto, come un canguro
Vivrò tutto questo in ogni nuovo giorno
E camminerò vicino al burrone, per non rischiare di cadere…
Forse, un giorno, aprirò gli occhi mentre sto precipitando,
ma avrò sempre e comunque due possibilità:
Chiudere gli occhi e prepararmi al terribile schianto,
oppure ricordarmi di essere un gabbiano, e aprire le ali.
Ho sempre pensato che la vita possa essere molte cose: di certo, può essere una grande opportunità.
Come promettente figlio di un imprenditore di successo avrei avuto probabilmente vita facile; quando però ho capito che non potevo continuare a fingere di essere quello che non ero, e mi sono pubblicamente dichiarata come donna transgender, non ero più così sicura di come sarebbero andate le cose. A dirla tutta, all’inizio avevo anche un bel po’ di paura.


Essere consulente esterna nell’azienda paterna fu, all’inizio, molto semplice: si trattava evidentemente di una posizione privilegiata. Quando però circa vent’anni fa, mi tuffai nell’avventura imprenditoriale io stessa, sapevo bene che qualche complicazione avrebbe potuto presentarsi: facendo il mio nome ovviamente qualche porta si apriva ma poi, una volta dentro, sapevo che le aspettative su di me erano elevate e che, in quanto figlia di XY, avevo gli occhi puntati addosso. Come donna transgender, questa consapevolezza era più che doppia: avrei sempre dovuto sforzarmi al massimo per meritarmi quella fiducia.

Con il passare degli anni, devo essere sincera, con la mia mini-azienda le cose non andarono poi così bene: qualcuno potrebbe osservare che un’azienda che per oltre vent’anni riesce a rimanere sul mercato, dando di che vivere a sette persone, non sia proprio così male. Forse è vero ma io, in cuore mio, sapevo benissimo che avrei voluto (e potuto, con un po’ di fortuna) fare molto di più.


Ma così non è andata: avevamo un bel prodotto e un importante cliente piuttosto soddisfatto, ma siamo rimasti piccoli; per dirla meglio, troppo piccoli.
E comunque: vent’anni sono tanti, ma passano molto in fretta…


E così arriviamo ad un anno fa, quando io ne ho quasi 60 e il mio socio quasi 70 (e con qualche problema di salute di troppo, cosa che ovviamente non aiuta): era arrivato il momento di domandarci dove stavamo andando! Avevamo la responsabilità di una grande azienda che aveva creduto in noi, e quella di cinque dipendenti che ci avevano accompagnato, con fedeltà e lealtà, in tutto questo tempo.
Io di certo non ne volevo sapere di tenere l’azienda tutta per me: tutto quello che ha che fare con contratti, leggi, burocrazia e finanza mi dà la nausea: sono una creativa, e desidero solo fare il mio lavoro nel miglior modo possibile.
Ben sapendo di avere un abbastanza poco da offrire, se si esclude un’ottima posizione come fornitori di un’azienda molto importante (parliamo di un gruppo con quasi 10.000 dipendenti, giusto per chiarire quanto importante), decidiamo di metterci con decisione sul mercato.
Questo accadeva circa un anno fa.
Oggi (metà settembre 2022, ndr) sto finalmente raccogliendo i miei pensieri nel primo momento di tranquillità dopo circa 40 giorni nel corso dei quali la mia vita è completamente cambiata.


Sono diventata la responsabile dello sviluppo all’interno di una grande azienda che si occupa di software e che ha grandi progetti per il futuro.
Questa azienda ha scelto di incorporare al suo interno la nostra piccola struttura e il nostro piccolo giro di affari. Cosa però del tutto inattesa, in questa fusione mi è stato proposto di prendere la guida del laboratorio: non solo del mio storico piccolo gruppo di ragazzi, ma di tutto il gruppo impegnato nello sviluppo dei nuovi prodotti.


Mi trovo così, a questo punto, alla guida di una dozzina di giovani e giovanissimi ragazzi (con qualche rara eccezione) e con il compito di realizzare un prodotto moderno e innovativo, destinato nel futuro a svolgere un ruolo importante nell’ambito dell’offerta di sistemi informativi per il settore di nostra pertinenza.
È una sfida importante, difficile e molto impegnativa, ma è davvero il sogno della mia vita che si avvera: mettere le mie capacità a disposizione di qualcuno che credesse in me e mi offrisse le condizioni migliori per poter dare corpo al mio reale potenziale è quello che avevo sempre cercato, e che ormai avevo smesso di augurarmi.


Il fatto che stia succedendo oggi a me, donna transgender di sessant’anni compiuti, può significare molte cose; ai miei occhi, una in particolare: che non dobbiamo mai pensare di avere qualcosa in meno, ma fare comunque e sempre del nostro meglio per dare il massimo.
In questi lunghi anni per una buona parte del tempo ero rimasta all’interno di quella zona di comfort data dalla nostra piccola azienda e dei pochi clienti, consolidati, con i quali lavoravamo che mi conoscevano da lungo tempo (posso proprio dire: da quando portavo la cravatta). Non erano mancate le occasioni di confronto con il mondo esterno, ed erano sempre andate bene: se non siamo riusciti a crescere come avremmo dovuto, non è stato certamente per questioni legate al mio essere transgender, anzi: più volte ho visto apprezzata, dai miei interlocutori, la scelta di porsi a viso aperto e con onestà, senza mai cercare di nascondere nulla.


Con quest’ultima occasione, quella che sto vivendo oggi, ho capito definitivamente che è proprio così: non sono tutti lì in attesa di poterci additare o giudicare perché siamo diversi (vale per noi persone transqualcosa come vale per 1000 altre possibili diversità), anzi: se ci poniamo con un po’ di tatto e soprattutto se facciamo bene il nostro lavoro, gli altri ci vedono esattamente così: come persone che si dedicano con passione e competenza a fare quello che devono.


Sono una donna transgender di sessant’anni, e sto vivendo la più entusiasmante e gratificante esperienza lavorativa della mia vita: davvero non me lo aspettavo! Ma certo, non ho mai pensato per un solo attimo nella mia vita, di avere qualcosa in meno, qualcosa di cui vergognarmi e da nascondere; e non ho mai pensato che la vita fosse stata ingiusta con me. Ovvio, essere una persona transgender non ti semplifica le cose, ma alla fine siamo sempre noi a dovercela giocare, e dobbiamo cercare di farlo sempre comunque al meglio. La diversità può essere un dono raro e prezioso, anche se magari scomodo e difficile da “maneggiare”, e la cosa difficile può essere imparare ad apprezzarlo e a valorizzarlo.


Molti anni fa frequentavo un gruppo internet a tema (transgender e transessuale); tra gli iscritti l’autocommiserazione era molto in voga; io sostenevo che fosse un grave errore, perchè dovevamo essere noi i primi a non fare piccole le proprie vite. Molti mi disapprovavano, considerandomi una privilegiata e sostenendo che per me era tutto facile.
Ma non è stato esattamente facile: è certamente più complicato e più difficile, ma la strada c’è: quando la troviamo, la soddisfazione è enorme.
Ed è proprio questo il bello!