E’ andata!

Per la maggior parte delle persone che frequento quotidianamente, nel lavoro o nella vita privata, sono Mia ormai da tempo; per una minoranza leggermente retroversa sono Aug (Augh per i più creativi); per una ridotta schiera di irriducibili rimango ancora Augusto.

Alcuni lo fanno perchè non riescono a comprendere (letteralmente: accogliere, prendere con sè), mentre altri – e sono i peggiori – lo fanno come atto di rifiuto: per ME tu sei un uomo e QUESTO è il tuo nome quindi IO continuo a chiamarti così. E poi c’è mio papà, che per motivi sentimentanagrafici, considero fuori classifica: quel giorno mi diede il nome di suo papà, e questa cosa, ovviamente, tocca radici molto profonde che non posso che comprendere. Ma un po’ alla volta, quasi inaspettatamente, recupera terreno.

Comunque sia, da oggi questo non è più il mio nome anagrafico: chi mi chiamerà così, semplicemente farà riferimento ad un nome che non esiste più.

Ci ho messo quasi sessant’anni ad arrivare al punto in cui, per la mia più intima percezione, avrei dovuto trovarmi fin dal primo istante della mia esistenza: meglio tardi che mai, è proprio il caso di dirlo!
Sarebbe però molto ingiusto liquidare il tutto come un percorso di sola sofferenza alla fine del quale, solo oggi, ho visto la luce. C’è stata sofferenza, è evidente ed era inevitabile: ma è stata anche un’avventura straordinaria, emozionante, intensa.

Questo dono unico che ho ricevuto, di nascere bambino, diventare adolescente ipertestosteronico, studente distratto, pilota di moto e di surf, sciatore con un ottimo futuro ma un presente incerto, istruttore di reclute negli alpini, viaggiatore smarrito, architetto mai arrivato, imprenditore in continuo divenire, e tutto questo sempre coltivando – in segreto e solo intimamente – la donna che sapevo benissimo essere in me, ma che ancora non era matura per uscire allo scoperto… e nel frattempo diventare compagno, amante, marito… per poi nascere di nuovo, nelle vesti più vere, senza più travestimenti.

Ed essere quindi ragazzina adolescente trentenne con troppo trucco sugli occhi in cerca di sé stessa, e poi donna che finalmente cresce, compagna, ancora imprenditrice e sempre in divenire, moglie di una moglie, fotografa, maratoneta e ultramaratoneta, e infine donna matura, che si guarda allo specchio e si domanda (anche se conosce benissimo la risposta, è scritta poche righe più su) come abbia fatto tutto questo a passare così in fretta, e a lasciare tutti quei segni sul viso e nessuno – fortunatamente – nell’anima.

Tutto questo, dicevo, è stato un viaggio incredibile, che mi è costato molto – ma sono sincera: solo in rari casi troppo – ma che mi ha permesso di vivere questa che, vista oggi, sembra anche a me stessa una storia impossibile, o un sogno dal quale avrei paura di potermi svegliare.

Eppure ce l’ho qui davanti a me: un documento, firmato da un vero giudice di un vero tribunale, che mi dichiara che tutto questo è reale, non è un sogno. C’è scritto lì sopra: Augusta.


Ovviamente non ero sola in questo cammino: se tutto è andato così bene, molto è per merito delle meravigliose persone che mi sono state vicine e che mi hanno aiutata.

Inizio quindi ringraziando il mio fantastico avvocato Gianmarco Negri (Studio Legale Avv. Gianmarco Negri), che ha messo a mia disposizione la sua professionalità e la sua competenza, permettendomi di giungere dritta alla meta, senza indecisioni né incertezze. Grazie Gianmarco! Ed è grazie a lui che ho conosciuto la dottoressa Stefania Bonadonna, endocrinologa: una delle tante svolte nella mia vita, non tanto perché il suo supporto è stato determinante per la pratica legale, ma perché, finalmente, dopo 30 anni di ricerche ho finalmente trovato la professionista giusta, che d’ora in poi resterà come mio insostituibile punto di riferimento.

Sempre nella preparazione della documentazione per il percorso giuridico, sono entrata anche in contatto con il dott. Stefano Sanzovo, psichiatra. Nel corso del nostro breve incontro ho davvero apprezzato la sua delicatezza ma anche la sua professionalità: con poche e ben poste domande mi ha saputa capire e descrivere al meglio, e la sua relazione solida e cristallina ha contribuito in modo determinante all’esito della sentenza.

E infine, ultime ma non certo per importanza: la mia psicologa Mara Binelli, che mi ha accolta quando ancora portavo la cravatta e pensavo che la mia vita sarebbe sempre e solamente stata un tunnel buio e senza fine, e che, dopo avermi aiutata a trovare l’uscita, mi ha accompagnata fino a qui, presente anche nei sempre più lunghi periodi durante i quali abbiamo smesso di vederci, ma ben sapendo che ci saremo sempre: grazie Mara, amica mia; e poi Cinzia, che ha dovuto misurare sulla sua pelle il fatto che sommare in una sola persona sia l’uomo che la donna significa non solo sommare alcune qualità, ma, inevitabilmente, anche i difetti; e che ha saputo esserci, sempre e comunque, testimoniando che anche in una storia come questa l’ingrediente più importante è sempre lo stesso: l’amore. Grazie, amore mio.