augYoga

Namasquasi: lo yoga alla meno peggio, ovvero come possa essere bellissimo fare yoga anche da persone normali, forse anche neppure particolarmente portate…

Mi avvicinai allo yoga una decina di anni fa: incuriosita da un articolo letto da qualche parte, decisi che era il caso di approfondire. Entrai così in libreria e comprai un libro che parlava di yoga in termini generici. Non era un gran testo, infatti non ricordo neppure il titolo nè dove sia finito. Ricordo però benissimo un paio di punti che mi colpirono profondamente e mi fecero decidere che era il caso di approfondire.

La prima frase diceva più o meno che il grande cambiamento fisico che la pratica regolare dello yoga poteva portare era l’ossigenazione dei tessuti, del sistema circolatorio e di quello linfatico anche nei punti più reconditi del nostro corpo. Laddove la tensione e lo stress agiscono come “contrattori” del nostro respiro impedendo al corpo di funzionare nel modo migliore, le diverse asana e la consapevolezza del respiro potevano, secondo la spiegazione che lessi, agire come “compensatori” riportando nel nostro corpo l’equilibrio e l’armonia che la tensione e lo stress della vita moderna rischiano di compromettere in modo così importante. Ossigenazione dei tessuti e risveglio del sistema linfatico anche nei punti più reconditi del nostro corpo: mica male!

L’altra cosa che lessi e che mi fece riflettere riguardava il fatto che non è possibile mantenere uno stato di agitazione nella mente se il respiro è calmo e profondo. Quindi, in altre parole, imparando a gestire in modo consapevole il respiro si poteva raggiungere l’attraente risultato di calmare la mente in eventuale subbuglio. Questo mi colpì, erano anni in cui subivo fastidiosamente tensioni e pressione nel mio lavoro, e troppo spesso mi accadeva di trovarmi con il respiro corto e il cuore accelerato, sintomi classici degli stati d’ansia. Ma non potevo cambiare la realtà del mio lavoro con un semplice colpo di bacchetta magica, andando per esclusione dovevo cambiare io.

Queste due informazioni che trovai in quel libro furono quindi lo spunto giusto: decisi di provare a fare yoga.

I primi approcci non furono particolarmente incoraggianti: mi imbattei in invasati convinti di essere portatori dell’unico Verbo possibile, in modeste impiegate che avevano scovato nell’insegnamento dello yoga la loro personale occasione di riscatto e in semplici sfigati alla loro ultima spiaggia. Il panorama era desolante, e anche se coglievo nelle posizioni che ci venivano proposte le tracce di quello che avevo letto, la pratica era assai poco convincente. Non basta un certificato per fare un insegnante di yoga, e in ogni caso c’è insegnante e insegnante e c’è anche yoga e yoga. 45 minuti di chiacchiere da invasati fanatici e 15 minuti di posizioni all’acqua di rose non potevano essere davvero yoga. O, se lo erano, non era lo yoga che cercavo io.

Trovavo poi molto irritante codesta abitudine, assai diffusa tra gli insegnanti, di considerare se stessi come illuminati e gli allievi come povere anime senza speranza cui mostrare la strada. Io non cercavo nulla di tutto questo, volevo semplicemente fare yoga: la mia vita era fondamentalmente serena, i miei assetti etici e filosofici mi davano il giusto equilibrio e sentivo armonia e amore dentro di me: trovavo irritante che qualcuno volesse necessariamente insegnarmi come vivere senza essere stato invitato a farlo.

Stavo ancora vagabondando di scuola in scuola alla ricerca di un insegnante convincente quando incontrai Tite, e finalmente le mie cose yogiche iniziarono ad andare a posto. Negli anni ho praticato con lei e insieme a lei con altri insegnanti, ho partecipato a qualche stage (in qualche caso di più giorni) e ho scoperto con vero piacere che la scuola Iyengar è una garanzia di qualità (almeno per quanto ho potuto verificare personalmente) perchè il suo metodo è così rigoroso che anche gli insegnanti meno dotati possono condurre lezioni assolutamente appaganti.

Oggi continuo a praticare con Tite sia quando lei stessa conduce i suoi stage sia insieme a lei presso l’insegnante presso cui lei stessa pratica. Credo di poter dire di praticare yoga con regolarità, ma questo non ha fatto di me una praticante particolarmente evoluta, almeno per ora.

Certo, posso contare su un corpo tonico, allenato e abbastanza flessibile, e questo sicuramente aiuta. Però mi accorgo che non sempre riesco ad isolare la mente dai miei pensieri, e a praticare con il giusto livello di concentrazione. A volte la mia mente vaga senza tregua, altre volte è il mio corpo a farlo, spesso a causa di un allenamento di corsa molto pesante e non ancora digerito interamente. Faccio yoga alla meno peggio, a volte mi demoralizzo perchè vorrei fare di più e meglio, altre volte mi sento bene e vedo che il mio corpo risponde. In questo modo che mi sembra di poter definire “soft” lo yoga è entrato comunque nella mia vita e penso difficilmente ne uscirà.

Se sento tensione alla schiena raccolgo le ginocchia al petto e lascio che il respiro mi “lavori” da dentro, nei mesi caldi (da marzo a novembre) non c’è volta che termini un allenamento di corsa senza fare dieci minuti di posizioni sul prato davanti a casa, e in quei dieci minuti diventando io stessa parte di quel prato e della bellezza intorno a me, e ho perfino imparato a sentire l’aria che mi accarezza le narici mentre entra ed esce durante il respiro.

Tutto questo è bellissimo perchè lo yoga NON è la mia strada, io non sono nata per fare yoga e non ho trovato nello yoga “la mia via”, semplicemente attingo ad esso nel modo che mi riesce e nel rispetto delle mie possibilità. Ma pur con tutti questi limiti, trovo in esso conforto, equilibrio, ispirazione e serenità. Anche se è yoga “alla meno peggio”, è diventata una parte imprescindibile nella mia vita. Grazie allo yoga quindi, e grazie tantissimo alle insegnanti che mi hanno permesso di amarlo ed apprezzarlo (non le nomino, ma loro sanno di essere in questi miei pensieri).

Namastè
Mia