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Lut 2011

LUT (Lavaredo Ultra Trail) 2011

La LUT: per chi non sa cosa sia, è una passeggiata intorno alle Tre Cime di Lavaredo, 87km e 5.300 metri D+… numeri che fanno riflettere. Parole d’ordine: relax, riposo…

Venerdì sera, Vicenza. Poco più di 24 ore dal via (che sarà alla mezzanotte di sabato). Decidiamo di dormire a Valle, così siamo vicini al via e sabato ci rilassiamo in attesa della partenza. Perfetto.

Torna a casa dal lavoro. Scarica la macchina, prepara le valigie, controlla se c’è tutto, aspetta Tite, scarica la macchina di Tite, mangia un boccone, carica la macchina, riparti per la montagna. E’ stata un po’ tirata ma adesso ci rilassiamo. Perfetto.

Sabato mattina, Valle di Cadore.
Niente sveglia e dormiamo un po’, ma poi c’è da fare: scarica la macchina, porta in casa le valigie, apri le borse e metti in ordine le cose. Esci per un po’ di spesa, i giornali, solite cose. Torna a casa, il salotto è una deflagrazione di scarpe, indumenti, barrette, gel, batterie, pile frontali… hai visto i miei guanti ? Certo, sono proprio lì, sotto a quella scarpa infangata, appena sopra a quelle mutande gialle a righe. Prepara lo zaino, controlla il meteo, farà freddo o farà caldo, forse farà freddo e caldo, prepara la borsa per il ristoro a metà gara, prepara un boccone, mangia qualcosa. E’ stata una mattinata un po’ tirata ma adesso ce ne andiamo a letto e ci rilassiamo un po’. Perfetto.

Finalmente a letto, speriamo che non… manco in tempo a dirlo: suona il telefono. Sono arrivati i ragazzi, ci daranno assistenza per la gara. Pazienza, niente riposino, ma va bene, le borse sono già pronte, è tutto preparato, siamo tranquilli, mancano 3 ore e poi ci spostiamo in zona partenza. Solo che un attimo dopo è già ora: chiudi le borse, carica la macchina, parti per Auronzo, arriva, saluta gli amici, parcheggia, scarica la macchina, saluta gli amici, prendi le borse, saluta gli amici, check-in, controllo materiali, saluta gli amici, deposita le borse, finalmente abbiamo saluta gli amici finito. E’ ora di cena (pasta party).

Saluta gli amici, mettiti in coda, aspetta la pasta (era finita e la stanno ricucinando), saluta gli amici, mangia ricordati anche di bere mangia saluta gli amici finisci la cena.

Sono appena le nove, mancano 3 ore al via, c’è tempo di rilassarsi. Perfetto.
Intanto però fa freddo, fa molto freddo. Torna alla macchina, cambia abbigliamento, forse non sarà caldo come si pensava, vestiti meglio, cerca un bar, siediti a bere un tè caldo, ma accidenti… è già ora del briefing: fine della pausa, si torna al freddo.

E infine sono le 23:20, è ora di incamminarsi verso la zona del via. E’ freddo, si sente, ma muovendosi non ci si fa troppo caso. Ho la sensazione che non sia proprio prefetto come pensavo, ma non so bene perchè: è come se mi stessi dimenticando di qualcosa, ma non so bene cosa. Ma il tempo per pensare fugge in fretta, siamo al via. Un bacio a Tite, divertiti, divertiamoci, in bocca al lupo e si parte.

Faccio con lei i primi km, la sensazione di aver dimenticato qualcosa è sempre più forte. Un paio di km dopo, con i muscoli che iniziano a scaldarsi, saluto Tite e mi metto al mio passo. E finalmente capisco cos’ho dimenticato.

Ho dimenticato di digerire.

I primi 44km di gara sono un piccolo calvario: le gambe starebbero bene, ma la pancia duole ad ogni sobbalzo. Corro così, con gli addominali contratti e la schiena un po’ rigida, non vado esattamente piano, ma non corro come vorrei e potrei. E, soprattutto, devo tener duro ad ogni passo di corsa. Mentre cammino nelle salite ripide va quasi bene, ma appena mi metto a correre torna il fastidio, ma è più dolore che fastidio: è una fitta che mi attraversa ad ogni sobbalzo. Non so bene per quale meccanica, solo nelle discese ripide non soffro, e quindi ne approfitto per recuperare un po’ di terreno.

Arrivo così a metà gara con l’idea di ritirarmi, fare altrettanti km nelle stesse condizioni mi sembra impensabile. Però al ristoro di Villa Gregoriana uno stop di 20 minuti in bagno, una tazza di brodo bollente e un bicchiere di acqua calda e magnesio (grazie Sandro) risolvono la situazione: la pancia non duole più e ho la sensazione che il blocco si sia smosso. Certo, sono un po’ senza forze, anche perchè non ho mangiato nulla (impensabile in quelle condizioni), ma l’idea di mollare non mi piace. Decido di ripartire, poi si vedrà.

Nella successiva, interminabile salita di Forcella Grande mi rendo conto che ho le gambe svuotate: appena forzo un po’ l’andatura mi sento debole e devo rallentare. Nei piani e nelle salite leggere mi passano in molti, ma nelle salite ripide il mio passo costante tutto sommato regge, e nelle discese impegnative, continuo a non capire perchè, mi sembra di volare. Forse è perchè non ho le forze neppure per frenare, certo posso dire che la famigerata discesa di Forcella Grande è stato uno dei punti di maggior godimento di questi anni di trail: adrenalina a mille e divertimento allo stato puro.

Ma non ci sono solo le discese: i km sono ancora molti e non sono tutti tecnici. Ormai è chiaro, se voglio arrivare in fondo devo risparmiare. Nei 4 km di falsopiano dopo la Capanna degli Alpini provo a correre ma non c’è verso: la camminata veloce è il massimo che mi sia consentito. Intanto arriva il genio di turno, romano o giù di lì: “Ao’, ma pecchè nun corri ?”. Vorrei rispondergli con le parole di Calderoli, ma quello leghista non è esattamente il mio modello di riferimento, e comunque non avrei le forze per sostenere l’inevitabile scontro, foss’anche uno sconto di soli sguardi, quindi soprassiedo.

Ovviamente ai ristori non mancano i soliti simpatici siparietti: ciao Augusto ! mi saluta qualcuno. Forza Mia, brava !! mi incitano altri. In mezzo alcuni sconosciuti mi guardano e non capiscono: non capiscono dove sia l’altro dei due, e soprattutto QUALE sia !

E così continuo, trascinandomi come riesco nei piani, e mollando le gambe nelle discese. Se nel corso dell’Ultrabericus avevo riflettuto sul fatto che “è sempre bello correre quando si sta bene” qui metto a fuoco un pensiero diverso: “è sempre bello correre, anche quando non si sta bene”… e anche se forse “correre” in questo caso non è il termine più appropriato. E’ sempre bello perchè alla fine la parte più interessante di questa pratica per certi versi così folle è proprio lì, nell’esercizio della determinazione, nella capacità di accettare l’inevitabile crisi, l’inevitabile momento di sconforto, l’umana debolezza che ti spinge a sederti su un sasso, a guardare gli altri passare…

Qualcuno mi chiede come ho fatto, ma non trovo nulla di straordinario o di speciale in quello che ho fatto: ho stretto i denti e ho completato il mio impegno, tra l’altro con una classifica finale in linea con le mie aspettative (68° in 15h e 15’). Così, ancora una volta, la parte migliore e più appagante dell’avventura è in quella nitida percezione di aver toccato con mano l’insegnamento più importante: il corpo può anche avere dei momenti di debolezza, ma il vero limite che abbiamo è quello che fissa la nostra mente… ed è sempre leggermente più avanti di dove pensiamo che sia !!!

L’arrivo di Tite